Libri

“Il quinto figlio”, Doris Lessing: la recensione

Mi sono avvicinata a questo libro dell’autrice britannica Doris Lessing, premio Nobel per la letteratura nel 2007, un po’ per caso. Qualche anno fa a incuriosirmi era stato un saggio di Sandra Petrignani che la cita. Il libro in questione si chiama “Lessico femminile” ed è un saggio che parla di molte scrittrici italiane e straniere; tra queste ultime viene citata proprio Lessing e in particolare una frase tratta da “Il quinto figlio”. 

Avevo deciso di non leggere mai “Il quinto figlio“, eppure…

Mi ricordo distintamente che quell’estratto citato da Petrignani mi turbò molto perché l’autrice utilizzava una terminologia molto cruda per rivolgersi a un bambino speciale. Potendo avvalermi solo di poche citazioni per desumere il contesto del libro di Lessing, mi offesi molto e decisi che non avrei letto più né Petrignani, né mai avrei toccato “Il quinto figlio”. Credevo che il testo dell’autrice britannica parlasse di disabilità e in maniera veramente aberrante, ma per poter giudicare in maniera più approfondita avrei dovuto leggerlo.

Copertina de “Il quinto figlio”

Come è strutturato il romanzo

Il testo è molto breve, pubblicato nel 1988 consta di 176 pagine e non è suddiviso in capitoli. Questa scelta stilistica non appesantisce la narrazione, anzi, la rende coinvolgente e a tratti asfittica, che credo fosse l’obiettivo (riuscito) dell’autrice. Il narratore è onnisciente ed esterno alla vicenda. Nel testo si alternano discorso diretto e indiretto libero, con dialoghi serrati alternati a parti descrittive di paesaggi e luoghi. In particolare, la descrizione della casa di Harriet e David, i protagonisti, è molto dettagliata e utile alla narrazione.

I protagonisti (No Spoiler)

Delineare una sagoma netta dei protagonisti di questo romanzo non è semplice perché a tratti diventa una narrazione corale: i coniugi Harriet e David vengono descritti già dalla prima pagina del romanzo e i due vengono immediatamente inquadrati come strambi. Siamo alla fine degli anni ‘60 a Londra, i due hanno delle idee un po’ particolari rispetto alla famiglia che vogliono costruire: non fanno mistero a parenti e amici che gradirebbero avere ben otto figli. Dopo il matrimonio si trasferiscono in periferia, acquistando una casa molto grande dove allevano i propri figli.

Le gravidanze di Harriet

Dal titolo del romanzo si evince che Harriet partorisce ben cinque figli. Queste gravidanze spossano notevolmente la protagonista che però è felice della scelta. È convinta che il ruolo di una donna sia quello di accudire il proprio marito e mettere al mondo tanti figli. Nascono i primi quattro bambini e lei e David sono felici. A seguito del quarto figlio, decidono di comunicare ai parenti il desiderio di metterne al mondo un quinto.

Arriva Ben , il quinto figlio

Già dall’inizio della gestazione, Harriet si rende conto che questa quinta gravidanza non sarà come le precedenti. Sente precocemente il bambino che la divora dall’interno e tutti i parenti che informa del suo stato di salute (e anche il medico) sostengono che Harriet sia impazzita. La donna è costretta a tenere per sé il dolore che prova, ma arrivata all’ottavo mese decide di andare dal medico per partorire: ne va della sua vita.

Un figlio speciale

Sin dal giorno della nascita, Ben – così i due coniugi hanno deciso di chiamare il bambino – si mostra un neonato fuori dal normale, tiene la testa eretta ed è dotato di una forza incredibile. Ha gli occhi come due fessure che fissano il mondo con malvagità. Durante la prima infanzia di Ben, la madre si convince che la diversità del figlio sia colpa sua, che se è un bambino che non parla, è aggressivo ed è dotato di una forza straordinaria sia solo a causa di una punizione divina. Il marito non la contraddice, lasciando alla moglie il fardello di doversi occupare del piccolo: David ripugna il figlio al punto da non volerlo neanche sfiorare.

I temi del romanzo

I temi affrontati in questo breve romanzo sono molteplici: maternità, disabilità e controllo sociale. Se pensiamo che questo testo è ambientato negli anni ‘60 la situazione familiare di Harriet non ci stupisce. Ancora oggi, però, una donna che non è madre non viene considerata completa; il più delle volte viene compatita, soprattutto da amici e parenti convinti che quella sia l’unica strada perseguibile per essere considerata una vera donna. Io stessa ho ricevuto più di una volta commenti non richiesti sul fatto che non sono ancora madre: la maternità, ancora oggi, esce dai canali privati e diventa un fatto pubblico. Lessing, con questo romanzo, ci mostra come per paradosso sia socialmente più accettabile dichiarare di volere tantissimi figli, anche con evidenti problemi economici e il rischio concreto di non sapere come provvedere a loro, piuttosto che sostenere di non volerne avere.

Disabilità, questa sconosciuta 

Un altro tema importante riguarda certamente la disabilità. Ben viene descritto dalla stessa Lessing come un essere di un’altra epoca, un folletto o uno gnomo, un personaggio che proviene dalle fiabe e che per esperimento viene partorito da una donna che dimora in un altro genere letterario. Lessing precisa come quella descritta per Ben non sia una patologia realmente esistente, ma piuttosto la somma di tutte le problematiche che chiunque potrebbe avere. È evidente come i più avveduti possano fare un parallelismo tra la specialità di Ben e le disabilità che comportano un ritardo mentale grave. Alla luce di ciò, i comportamenti del padre e della famiglia di Harriet diventano intollerabili perché non accettano la diversità del bambino. Harriet si trova da sola.

Critica sociale

La presa in carico di un bambino con disabilità è enormemente gravosa e di questo Harriet si rende conto sulla propria pelle: sa che non può accudire Ben come ha fatto per gli altri quattro figli e decide di annullare sé stessa per dedicarsi alle cure di un bambino speciale. Dimentica gli altri quattro figli e li lascia alle cure di altri parenti per poter avere il tempo di dedicarsi esclusivamente a quell’ultimo figlio difficile. Il testo di Lessing offre degli spunti interessanti anche sul tema del dopo di noi, tutela spesso auspicata ma sulla quale aleggia sempre un’aura di mistero, almeno in Italia, dove la cura delle persone con disabilità ricade esclusivamente sulle spalle dei caregiver.

Una baraonda giudicante

Altro tema importante, a mio avviso, è quello della famiglia intesa come clan, costituita da cugine, cugini, zie e zii, nonne e parenti acquisiti: una baraonda giudicante. Le donne vengono indirizzate dalla famiglia, sin da bambine, ad avere un solo modello a cui aspirare, quello della donna sposata con figli. La protagonista di questo romanzo incarna perfettamente questo ideale che viene esacerbato nel momento in cui si ha a che fare con l’arrivo di un figlio che richiede tutta la cura possibile.

Esperimento di Lessing

La grandezza di questo romanzo sta nel fatto che Lessing ha giocato con i suoi personaggi e li ha ingannati facendogli vivere una vita che non desideravano per sé. Quando Ben entra nelle vite dei due coniugi, quella famiglia si spezza perché alla base non è costruita da solidi legami. Il padre si disinteressa subito alla cura di Ben e Harriet si sente colpevole di aver messo alla luce un figlio non conforme.

Vi consiglio “Il quinto figlio” perché…

Doris Lessing nel 2006

Vi consiglio questo romanzo perché sicuramente farà scaturire in voi delle riflessioni che probabilmente non vi siete mai posti. Nessun genitore, immaginando il proprio nascituro, lo immagina disabile e quando ci si scontra con una realtà del genere non è per nulla preparato. La coppia dovrebbe essere accolta da un sistema Statale che la aiuti a superare questo lutto emotivo e andare avanti con le sfide evolutive che la vita presenterà loro.

(3) Commenti

  1. Sono d’accordo con il tuo parere sul libro. È stata una bella lettura e non è semplice parlare della disabilità, l’autrice ha centrato in pieno il modo per parlare di un tema così delicato.

  2. Valentina (vale_profumodilibri) dice:

    Grazie Cecilia, una bellissima recensione. Non ho letto questo libro ma mi ricorda molto Tempo di imparare di Valeria Parrella. A presto

    1. È vero, il tema è simile anche se Parrella lo affronta con un’altra sensibilità più conforme ai giorni nostri

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *