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A me puoi dirlo, Catherine Lacey, Recensione

Ph: @eccoilibri
  • Autrice: Catherine Lacey
  • Editore: Sur
  • Data uscita: 15/01/2020
  • Pagine: 180
  • Prezzo di copertina: € 17,00

A me puoi dirlo” è l’ultimo romanzo della scrittrice statunitense Catherine Lacey, divenuta famosa per il suo esordio “Nessuno scompare davvero“, con il quale la giovane scrittrice è stata finalista allo Young Lions Award, il premio della New York Public Library per i migliori autori under 35.

Trama di “A me puoi dirlo”

In questo nuovo romanzo, Lacey ci porta in un paesino di provincia, dove accade un fatto insolito: una persona si risveglia sulla panca di una chiesa, (il titolo originale del romanzo è appunto “Pew“, panca), e non ricorda assolutamente nulla sul proprio conto. Il fatto di non rammentare il proprio nome, le proprie origini e neanche il proprio sesso, porta scompiglio all’interno del paesino, che è abitato da una comunità molto religiosa. Ad aggravare le cose, Panca, (questo il nome provvisorio che viene dato alla persona protagonista del romanzo), decide di non parlare mai, si trincera dietro al proprio mutismo. É certamente in grado di parlare, lo sa bene, ma preferisce non farlo.

«In uno specchio rotto vidi due gambe, due braccia. Chiusi gli occhi e provai a ricordare il mio corpo, ma dietro le palpebre serrate la mente non vide nulla, incapace di ricordare la cosa in cui abitava».

La storia viene narrata in prima persona da Panca, il linguaggio che utilizza è colloquiale e si rivolge direttamente al pubblico:

«Se dovesse capitarvi di passare la notte in una chiesa, noterete quanto è bello svegliarsi lì dentro. Vi verrà quasi voglia di credere in Dio se non ci credete, e se credete in Dio sarà una piacevole pacca sulla spalla».

Protagonistə non binariə

Quando Panca viene ospitatə da una famiglia del paesino in cui si trova, percepisce immediatamente la preoccupazione dei coniugi accoglienti a far dormire una persona estranea nella propria mansarda. Il fatto di non conoscere il sesso, l’etnia e l’età di Panca, (informazioni che non si riescono a desumere solo da uno sguardo esterno), mette in difficoltà gli avventori, che gli/le chiedono ostinatamente: “Ma tu, cosa sei?”.

«Ma tu cosa sei?, mi chiedevano a volte, e io lo so che rispondere a una domanda con un’altra domanda è scortese, ma a volte ho praticato questo genere di scortesia. A chi me lo chiedeva io chiedevo: Cosa sei tu?[…] A volte la gente mi rispondeva: Sono cristiano, americano, sono nero, sono bianco, non sono di qui, sono affamato, sono stanco, arrabbiato, una donna, un uomo, sono gay, un pastore, repubblicano, una madre, un figlio, sono un quarantenne, sono un senzatetto, oppure mi rispondevano con una risata che gli saliva e scendeva nel petto, per poi disperdersi senza lasciare niente dietro di sé».

La difficoltà di relazionarsi con chi non si incasella

Un giorno, Hilda, la madre di famiglia che ospita Panca in casa sua, prova a farlə visitare da un medico: ufficialmente, l’indagine medica serve a scoprire se Panca è affettə da qualche malattia, ufficiosamente è chiaro che la donna voglia assolutamente capire se Panca sia maschio o femmina. Hilda prova a convincere Panca con le seguenti parole, che secondo me spiegano perfettamente il disagio provato dalla donna in questa situazione:

«Ora, immagino tu sappia che oggigiorno c’è gente a cui piace pensare che ciascuno possa decidere se essere maschio o femmina, ma noi crediamo, la nostra Chiesa crede e Gesù stesso credeva che è Dio a decidere se sei maschio o femmina. Quindi è questo che vogliamo sapere: sei maschio o femmina?»

Panca, a quella domanda, avrebbe voluto replicare che è un essere umano proprio come tutti gli altri, eccetto certe informazioni che l’intera popolazione reputa indispensabili come un passato e un origine; si rende conto che le informazioni che le persone lə chiedono, in realtà, non sono poi così essenziali. É Panca stessə a pronunciarsi in merito a questo:

«Chiusi gli occhi e immaginai un’esistenza in cui si vedevano solo i nostri pensieri e le nostre intenzioni, dove i nostri corpi non erano fatti di carne ma di qualcos’altro, qualcosa che andava oltre tutta questa pelle, questa massa».

Il tema centrale del libro

Il tema centrale di questo libro è allora il non binarismo di genere: quanta importanza diamo al nostro aspetto e al corpo delle altre persone? Quanto è importante il corpo come canale comunicativo? E quanto è imprescindibile, il corpo, per costruirsi un’immagine mentale di sé stessi? Riusciremmo a immaginarci senza?

«Veniva da chiedersi, allora, se tutti i problemi umani derivassero dai nostri corpi, quelle cose precarie, più deboli o più forti, più chiare o più scure, più alte o più basse. Perché ci creavano così tanti problemi? Perché li usavamo per metterci l’uno contro l’altro? Perché pensavamo che il contenuto del corpo significasse qualcosa? Perché usavamo il corpo per trarre le nostre conclusioni quando il corpo stesso è così sconclusionato, inaffidabile?

Il controllo sociale

In una delle tante digressioni fatte da Hilda, si comprende come, oltre al corpo e al binarismo, un altro dei nodi centrali di questo romanzo sia il controllo sociale, che è l’insieme dei comportamenti e delle attività che mirano a uniformare i gesti e gli usi delle persone all’interno di una comunità. In generale, più la comunità è piccola, più strette sono le maglie del controllo sociale:

Non c’erano famiglie come la nostra in zona, quindi ci siamo dovuti impegnare il doppio per essere…rispettabili. Per farci accettare dalla comunità. É l’unica cosa che conta qui: essere accettati dalla comunità. É l’unica cosa che ci sta a cuore.

Struttura del testo

Come forse avrete notato dalle citazioni testuali che vi ho proposto, i dialoghi del romanzo sono strutturati in un discorso diretto e indiretto libero. Utilizzare questa forma dialogica è spesso rischioso perché, in questi casi, al lettore viene richiesta molta attenzione. In questo romanzo, però, per facilitare la comprensione, viene utilizzato uno stile di carattere differente: quando parlano gli altri, il testo è in corsivo, quando parla o pensa Panca, è regolare. I capitoli sono scanditi dai giorni della settimana successivi al risveglio in chiesa, avvenuto di domenica.

La comunità in cui si ritrova Panca è molto religiosa e, proprio per questo, i concittadini cercano in tutti i modi di accogliere Panca, ma la sua diversità e il mistero che aleggia attorno alla persona di Panca, (anche per il fatto che si rifiuta di parlare), mette in crisi l’ordine precostituito. Saranno allora i membri della comunità che vengono a contatto con Panca a sfogarsi con lə e racconteranno le proprie frustrazioni e insoddisfazioni.

Cosa ne penso

Il romanzo pone sul tavolo degli argomenti molto interessanti: il controllo sociale e il binarismo di genere; tuttavia, avrei preferito che i due temi venissero affrontati in maniera più approfondita. Il finale viene dedicato a un rito di catarsi collettiva dell’intera comunità, aspetto che ha poco a che vedere con tutto il discorso fatto in precedenza su Panca e sull’identità.

Sono felice di aver letto questo libro perché mi ha fatto riflettere molto sul concetto di corpo; mi dispiace, però, che la parte finale non sia stata, secondo me, coerente con il resto della narrazione. Avrei voluto che l’autrice si fosse concentrata di più su Panca e sul suo percorso per ritrovarsi o, semplicemente, per continuare la propria esistenza senza curarsi delle differenze. É un romanzo che racchiude in sé una metafora sull’identità personale e forse lo scopo è quello di farci ripensare a come ci percepiamo all’interno della nostra comunità e come percepiamo noi stessi.

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